Le incursioni di Pippo
Collane di proiettili
Intervista a A. M. P. M. classe 1916
di Federico Scolari
Durante la guerra ero nella tenuta di mio nonno dove c’ era una grandissima casa, nella quale eravamo sfollati insieme ad altri nostri parenti dalla città. Però questa grande casa e i campi che la circondavano confinavano con la ferrovia e per questo ci furono molti bombardamenti; i primi tempi mi terrorizzavano, vedevamo le bombe e tutti i traccianti della contraerea che cercavano di abbattere gli aerei americani e quelli inglesi.
Una volta è rimasta anche una bomba inesplosa nei nostri campi, però dopo col tempo c’eravamo quasi abituati e correvamo per raccogliere i proiettili delle mitragliatrici che erano di ottone, grossi e lunghi e noi facevamo addirittura delle catene con questi proiettili. Correvamo noi bambini per i campi, pensa te, che non erano nemmeno andati via gli aerei. Appena vedevamo che potevamo uscire, correvamo per i campi come delle matte a vedere chi raccoglieva più bossoli delle mitragliatrici.
I tedeschi, quando arrivavano, entravano in casa nostra: i “votati alla morte” li chiamavano perché erano tutti ragazzi di, al massimo, diciannove anni, molto giovani, armati fino ai denti e ce n’erano certi di quindici e sedici anni e, ripensandoci ora, mi fa molta tristezza perché penso che siano quasi tutti morti. Una volta uno di questi tedeschi, tutto armato, in uniforme, mi aveva preso sulle ginocchia e subito mi aveva fatto una certa sensazione: eravamo lì fuori, lui era seduto e mi ha preso sulle ginocchia dicendomi:<< Anch’io a casa ho una bimba come te>>, e mi accarezzava, e probabilmente pensava anche lui alla sua famiglia. Non tutti erano cattivi, non dobbiamo fare di tutta l’ erba un fascio perché c’erano tanti che erano costretti a fare la guerra.
Mio suocero aveva combattuto tutta la guerra: comandava in Sardegna ed è rientrato insieme agli inglesi perché c’è stato l’ armistizio, per cui prima dell’8 settembre del ’43 ha fatto tutta la guerra.
Ha raccontato tantissime cose, perchè è passato anche vicino a Cassino, dove c’ è stata una battaglia terribile e dove purtroppo ci sono morti in tantissimi ed è stata distrutta l’ abbazia di Montecassino. Ci è rimasto un suo binocolo.
Abbiamo ancora le fedi che davano durante il fascismo e bisognava consegnare l’ oro e loro davano in sostituzione una fede di ferro che abbiamo ancora.
Quando la guerra stava per finire, io stavo prendendo lezioni private, perché ho fatto insieme 4° e 5° elementare, un giorno l’insegnante mi ha mandata a casa perché c’era la ritirata dei tedeschi che erano molto pericolosi perché erano molto spaventati e c’erano gli aerei alleati che mitragliavano e bombardavano, io sono tornata a casa in mezzo a tutta questa confusione, ero una bambina; correvo per i campi spaventatissima perché c’era una situazione di estrema confusione e allora ho perso la cartella e scioccamente sono tornata indietro in mezzo a tutta quella confusione a ricercare la cartella che ho trovato, per fortuna.
Invece prima, quando andavo ancora a scuola, ricordo noi bambini che portavamo un pezzo di legna per ciascuno, perché non c’era riscaldamento, così se si portava qualche pezzo di legna si poteva alimentare la stufa che riscaldava l’aula, perché, veramente, l’ Italia era allo stremo.
Mio papà era proprietario di moltissimi magazzini di formaggio ed è successo che i tedeschi sono venuti e lo hanno messo in prigione e hanno chiesto a mia madre, mentre eravamo tutti a tavola, le chiavi dei magazzini e mia madre seguitava a dire:<< Non ve le do finché non mi dite dov’è mio marito>>, allora loro le han detto che era in carcere e mia madre è stata costretta a dare le chiavi e loro sono venuti, me li ricordo, con tutti i camion e ci hanno portato via tutto.
Allora sia i partigiani sia i tedeschi portavano via i camion di formaggi; mio padre, forse, per essere lasciato in pace, avrà dato un aiuto a dei partigiani e forse lo sono venuti a sapere i tedeschi e per questo è andato in prigione e dicevano a mia madre che doveva andare a Mathausen e non tornare più; le hanno detto:<< Suo marito deve andare in Germania, a Mathausen e non tornare più!>>.
Attraverso conoscenze di una persona molto buona che era introdotta, per altre ragioni, col comando tedesco, è riuscito a uscire fuori dopo un mese di carcere, però il giorno in cui l’hanno liberato da prigione, invece la brigata nera, per rappresaglia, ha fucilato un mio zio.
Un’altra cosa che mi viene in mente è che mio nonno aveva piantato tante piantine per un chilometro o due, un filare di piante che separava i nostri campi dalla stazione e i tedesci le hanno tutte tagliate e le hanno messe sui tetti dei vagoni del treno perchè si mimetizzassero, però, cosa stranissima, c’era un solo vagone carico di proiettili che alla notte è stato mitragliato e i proiettili hanno seguitato tutta la giornata a scoppiare e le schegge arrivavano fino al nostro giardino, che era lontano dalla stazione. Evidentemente qualcuno li aveva informati che c’era questo vagone carico di munizioni.
Poi ricordo che noi avevamo un grande giardino, molto grande, perchè comprendeva tutti i campi intorno e c’era un enorme pino, altissimo, e uno di questi tedeschi ormai in ritirata, si fermò, dei tanti che si fermarono, che ovviamente non potevano entrare in casa perchè ci potevano entrare solo gli ufficiali, uno di questi ha inciso il suo nome sulla corteccia del pino, e io ho sempre pensato, tutte le volte che lo vedevo: “Chissà se si è salvato”.
Una volta eravamo a tavola, sono entrati e ci hanno spaventati da morire, perché erano veramente arrabbiati e si capiva perché perquisivano tutto, rovesciavano tutto, guardavano tutto e noi bambine eravamo terrorizzate. Rivedo ancora la scena: io non trovavo la forza di dire che l’ultimo cassetto della scrivania, dove avevo dei giochi, non si apriva, per farlo dovevo togliere il cassetto di sopra, stavo lì terrorizzata e non riuscivo a parlare e loro non riuscivano ad aprirlo e pensavano che ci fosse chissà che cosa e invece me l’avevano dato proprio perchè non si apriva, bisognava togliere quello di sopra e io ci avevo messo lì miei giochini e le mie bambole, e loro si arrabbiavano perchè non riuscivano ad aprirlo.
Ricordo una cosa divertente: i nostri contadini, che avevano trovato dei treni fermi in stazione, sono andati a rubare il velluto delle poltrone e si sono fatti dei vestiti.
E ricordo l’arrivo degli americani, quando ho visto il primo nero della mia vita e c’era un americano che aveva un pappagallo bellissimo sulla spalla che sapeva solo dire “sì” e “no”, però capiva, e se gli chiedevi:<< Hai fame?>>, lui diceva di sì e se gli chiedevi:<< Vuoi bere?>>, lui diceva:<< No! No!>> e questo americano girava sempre con questo pappagallo sulla spalla e mio padre che era felice e diceva:<< Finalmente! Siete arrivati!>> .