Le incursioni di Pippo
Il Presepe
Racconto di G. C. classe 1936
di Benedetta Colnaghi
Il vestiario durante la guerra era una nota dolente, proprio perché usavi un po’ quel che c’era, quel che si riusciva mettere insieme. Mia madre era molto brava a tagliare e a cucire, tante cose ce le faceva lei, anche le mutande; i maglioni li faceva con la lana della pecora, e metteva le toppe sui pantaloni. I vestiti del primo figlio passavano al secondo, dal secondo figlio passavano al terzo e così via. Di scarpe c’erano quelle con le suole di cartone che si distruggevano subito, sennò c’erano gli zoccolotti con la suola di legno e la tomaia di copertone, di telone, per noi erano i più belli, perché tenevano il piede caldo e asciutto.
In casa a Natale non cambiava niente, tranne il presepe. Noi il presepe lo facevamo bello, grande. Avevamo un camino molto grande che non usavamo d’inverno perché si usava solo la stufa per scaldare la casa, allora nel camino facevamo il presepe.
Quando smettevamo di usare il camino imbiancavamo il fondo con la calce bianca con un pennello enorme, poi per il presepe mettevamo una carta blu stellata, con tante stelle dorate, con i ceppi di legna facevamo le montagne, le grotte, poi c’era la pianura con le casette di legno e di cartone; con una radice speciale facevamo la grotta di Gesù. Io e mia sorella andavamo in giro lungo i fossi a raccogliere il muschio fresco con un grosso cesto.
Avevamo delle statuine di gesso che erano tramandate dalla famiglia, erano già usate, vecchie, però usavamo quelle, magari se ne compravano una o due all’anno per ingrandire un po’ il presepe. Non avevamo la corrente elettrica e come illuminazione usavamo l’illuminazione a olio, ma non olio d’oliva, avevamo l’olio di ravizzone.
Durante l’anno mio padre coltivava il ravizzone, poi a una certa stagione passava un frate che si chiamava Ofilo, veniva con un cavallo che trainava un carretto, gli davamo i sacchi con i semi di ravizzone, che sembrano piccole palline scure, nere e marroni. I frati spremevano i semi e ci riportavano metà dell’olio che riuscivano a fare; non era olio da mangiare, si usava solo per l’illuminazione con le lampade.
Anche per il presepe facevamo delle lampade a olio: si trattava di prendere un mandarino, tagliare via la calotta e strappare gli spicchi facendo restare al centro del mandarino lo stelo di pelle bianca che schiacciavamo un po’ con le dita; quando, dopo qualche giorno si era asciugato, ci mettevamo l’olio di ravizzone e potevamo accendere la lampada! Con un po’ d’olio quello stoppino poteva andare un giorno intero. Facevamo diverse lampade con i mandarini e sembravano delle lampade colorate perché ci mettevamo anche un po’ di calotta sopra in modo da alzarlo e lo nascondevamo un po’ in mezzo al muschio in modo che non si vedesse proprio il mandarino.
Facevamo altre lampade ad olio anche con dei grossi gusci di lumaca e uno stoppino di cotone.
La sera per il pericolo d’incendio le spegnevamo tutte, poi al mattino la prima cosa che facevamo era correre al presepe e riaccendere tutti i lumini che c’erano nelle grotte, nelle montagne, nelle case dei pastori.
Facevamo un bel presepe, ci aggiungevamo anche un laghetto fatto con lo specchio e la cascata fatta con la carta del torrone stropicciata, avevo anche un pastore con le pecore e vari artigiani che lavoravano.