Le incursioni di Pippo
Giocavo a pallone coi tedeschi
Racconto di G. S. classe 1935
di Matteo Sidoli
Il 25 aprile ero a scuola a Montecavolo e si è festeggiata la fine della guerra. Però la guerra qui era finita prima. Era finita alcuni giorni prima perché come i tedeschi si ritiravano, si capiva che la guerra era finita.
Della guerra ricordo i bombardamenti che facevano sul ponte di Puianello, ricordo i tedeschi che erano qui, la casa era stata sequestrata, c’era il comando tedesco e ricordo che io ero bambino e giocavo a pallone con i soldati tedeschi in mezzo al prato.
I giochi non c’erano, li costruivamo noi con i fili di ferro. Eravamo bravi, facevamo anche i “biroccini “con le ruote che giravano. Andavamo a rubare il ferro nelle viti, c’era il ferro per tenere l’uva e noi andavamo a rubare proprio quel ferro lì.
Quando c’era la neve avevamo le doghe da botte tagliate, ce le mettevamo sotto i piedi legate con del fio di ferro, erano come degli sci, e scendevamo giù dalla montagnola e una volta abbiamo visto arrivare gli aeroplani in picchiata da lontano a bombardare il ponte di Puianello. Un giorno abbiamo visto un militare che era dentro alla cabina che ci ha salutato.
Della guerra non sapevamo assolutamente niente. Non si poteva nemmeno accendere la radio perché era proibito per due motivi : il primo perché consumava della luce, e non c’erano i soldi per pagarla, secondo perché i tedeschi temevano sempre che tu ascoltassi Radio Londra per sapere le novità mentre loro ti raccontavano quello che volevano ed erano solo delle balle.
Una sera io ero fuori e c’era già il coprifuoco, quindi io dovevo andare in casa ma era pieno giorno, infatti era estate, il coprifuoco cominciava dalle cinque e mezza alle sei, e volevo ancora stare fuori a giocare, e un tedesco si è affacciato al balcone della finestra e mi ha detto: ”Vai in casa!”. Io non ci sono andato, allora lui è arrivato e mi ha puntato il mitra. Per fortuna è arrivato un altro tedesco che era dentro e io ho sentito benissimo, perché allora, giocando con loro, un po’ di tedesco lo avevo imparato, e ho capito benissimo che gli ha detto: “Ma non lo vedi che è un bambino?”, e gli ha strappato il mitra di mano. Secondo me quello mi avrebbe sparato.
In quel periodo mio padre era mutilato di guerra e allora gli ultimi 10 mesi di guerra l’hanno messo a comandare le guardie che erano nelle carceri. Mio padre quando c’era qualche d’uno di quelli lì, in pericolo, tra i prigionieri, riusciva sempre a farli scappare, però dopo la guerra chissà perché, lo hanno ucciso.
L’hanno ucciso dei vigliacchi, metti pure dei vigliacchi perché non meritava questa fine, anzi.
Lui era un militare ma non ha mai fatto del male a nessuno. Solo che quelli che hanno fatto del male sono scappati via tutti e lui che non aveva fatto niente non è scappato e allora lo hanno preso come capro espiratorio. Non capro espiatorio detto da me, ma riconosciuto anche dai partigiani, dopo, dall’ ANPI e da ISTORECO.
Ricordo che quando è finita la guerra, quando i partigiani cercavano mio padre, lo cercavano perché allora quelli iscritti al fascio li prendevano su tutti, e anche io ero un balilla, perché se non eri iscritto allora non andavi a scuola, allora li cercavano tutti questi fascisti e, me, qua di dietro dove c’è il pozzo, in quella zona lì, mi hanno messo al muro col fucile puntato e mi urlavano: “Dimmi dov’è tuo padre se no spariamo!”. E io gliel’ho detto perché mi puntavano il fucile. Erano persone che io conoscevo e quindi pensavo che lo facessero per scherzo, invece facevano sul serio. Ad un certo momento ho detto una balla, non mi ricordo che balla gli ho detto ma loro mi hanno lasciato e hanno creduto alla balla. Cosa sapevo io dov’era mio padre! Io avevo 10 anni.
Fino al 1943 quando c’è stato il fascismo, la dittatura, per lavorare dovevi essere iscritto al fascio, ma dopo il ’43, quando c’è stato l’armistizio, c’era l’Italia divisa in due. Mezza Italia che combatteva al fianco degli inglesi e americani che erano sbarcati in Sicilia e mezza Italia che era rimasta con i tedeschi. Quindi che cosa si può dire di quel periodo lì. E’ che qui sono state fatte due guerre diverse. Qui da noi con c’è stata una guerra fratricida e quelli che erano fascisti o militari, come il caso di mio padre, sono stati ammazzati. Italiani contro gli stessi italiani, era diventata una guerra civile insomma.
A villa Rossi di Albinea c’era il comando tedesco e qui, in questa casa c’era il sottocomando che dipendeva da villa Rossi. Quindi erano legati perché quelli di qua dipendevano da quelli di là e a villa Rossi ci fu questo assalto poco prima della fine della guerra. Gli inglesi, comandati da uno che è diventato un mio grande amico, un certo Monducci, chiamato Gordon (il nome di battaglia), attaccarono i tedeschi. Durante l’assalto venne ferito questo Gordon in modo grave e venne salvato da un aereo inglese. Questo assalto, secondo me, fu intempestivo perché la guerra stava per finire e durante questo attacco vennero feriti alcuni tedeschi.
Alla fine della guerra per dire le cose come sono io facevo la 5° elementare a Montecavolo e quando è morto mio padre io non sapevo niente. Sono andato a scuola perché andavo a piedi, andavamo attraverso i campi e all’uscita da scuola c’erano i genitori dei miei compagni di scuola che mi hanno preso a sassate, mi hanno preso a sassate e io non riuscivo a capire il perché. Poi è uscita la maestra, che mi ricordo si chiamava Ferrari, che ne ha dette di tutti i colori a quei genitori e mi ha accompagnato lei per un pezzo di strada. E quel pomeriggio, lei è venuta qui da mio nonno, perché io abitavo qui con mio nonno, perché mia madre era a Genova già da due anni, era separata da mio padre, e le disse che non potevo più andare a scuola perché era per me pericoloso. Per me, bambino di 10 anni, perché mio padre era un militare e di conseguenza iscritto al fascio, per me, era pericoloso. Così non ho potuto passare l’esame. All’ora c’era l’esame di 5° elementare per essere ammesso alle medie! Io come altri, che poi ho conosciuto, siamo dovuti andare lontano a scuola e difatti mio nonno mi aveva messo in collegio a Parma al Maria Luigia però mia mamma non ha voluto che io andassi in collegio e mi è venuta a prendere e mi ha portato a Genova con lei.