Le incursioni di Pippo
La morte di mio padre
Racconto di T. C. classe 1940
di Alberto Bonini
Durante la guerra vivevo a Bagno, nella stessa casa dove abito ora e dove allora c’erano la macelleria e l’osteria di famiglia; alla fine della guerra avevo appena cinque anni.
Il ricordo più nitido che ho è la morte di mio papà.
Un giorno mio padre è stato prelevato da casa. Lui era un macellaio; stava macellando le mucche e le SS lo sono venuti a prendere dicendo che doveva solo fare una testimonianza. Per prima cosa hanno circondato la casa con i mitra in mano, intimandogli di seguirli; mia madre guardava tutto dalla finestra con mio fratello Giuseppe in braccio e, dalla paura, lo fece cadere in strada. Per fortuna, c’era qualcuno giù che l’ha afferrato e gli ha salvato la vita.
In seguito mio padre lo hanno portato in via Filippo Re, a Reggio, in una palestra dove radunavano tutte le persone sequestrate; poi lo hannno portato a Villa Cucchi per torturarlo. Era una vecchia villa, che esiste tutt’ora accanto alla caserma Zucchi nella quale era insediato un comando delle SS: lì, purtroppo, venivano torturate le persone catturate per estorcere loro chissà quali segreti, tant’é che, di notte, si sentivano urla provenienti da quella casa.
Ma mio padre non morì lì: alcuni fascisti che collaboravano con le SS lo trasportarono con una camionetta su una strada che portava a Gavasseto: lì lo uccisero. Adesso c’è ancora una lapide che lo ricorda.
Mi ricordo quando, dopo alcuni giorni, ho visto mio papà morto, in casa: l’avevan disteso su una rete coperto da un telo trasparente, lì avevo capito cos’era la guerra, perchè mi aveva toccato. Perchè io pensavo sempre che mio padre tornasse da chissà dove.
Era l’agosto del ’44: meno di un anno prima che finisse la guerra.
Non si sa cosa dovesse dire perchè lui faceva il suo lavoro, aveva quattro figli. Ho sempre pensato che alcuni suoi amici, per invidia della sua condizione benestante, lo abbiano fatto portar via dai nazisti, i quali usavano gli innocenti come monito per le altre persone.
Allora la guerra era brutta per quello: era guerra civile.
Intanto il tempo passava e, alla fine della guerra, cominciai a frequentare una scuola situata in una ex caserma della Wehrmact, l’esercito regolare tedesco.
E se ne parlava a scuola della guerra, perchè i bambini raccontavano le loro esperienze: c’erano molti bambini come me che avevano perso un genitore o tutti e due o dei fratelli, eravam quasi tutti orfani di qualcuno: o di fratelli o di mamme o di nonni. E noi ne parlavamo, e assorbivamo molto allora, perchè i nostri pensieri erano tutti lì. Non c’erano i giochi, non c’era la televisione, non c’era niente, quindi erano i racconti degli anziani che ci insegnavano; e loro parlavano e noi bambini ascoltavamo come se fossero favole.